ll processo di risveglio comprende periodi di solitudine che talvolta possono durare anche diversi anni. Durante questi periodi il nostro sistema mente-corpo ha la possibilità di trasformare l’apertura del risveglio, il momento “ah ah, ecco chi sono”, in una realtà tangibile, una manifestazione umana allineata, o quantomeno più allineata, alla realtà che abbiamo percepito. Volendo fare un esempio banale, se prima del risveglio passavamo le serate al night a bere whisky, l’energia del risveglio agirà in modo naturale per cambiare questo comportamento, non certo in quanto sbagliato o immorale (qui il parroco non c’entra e nemmeno l’epatologo) ma poiché quello specifico comportamento non è allineato energeticamente a ciò che siamo. Sarà probabile, in questo caso, perdere gli amici di bevute e ritrovarci la sera a casa da soli a guardare il muro.
In genere il risveglio porta con sé un profondo desiderio di conoscere noi stessi e di liberarci dai comportamenti compulsivi proprio per vedere che cosa nascondano. Probabilmente per la prima volta in tutta la vita, siamo disposti a sentire interamente e fino in fondo l’oscurità della nostra inconsapevolezza e siamo capaci di arrenderci alla nostra sofferenza andandole incontro a braccia aperte.
E’ normale che in una società nella quale l’equilibrio tra l’umano e gli elementi naturali si è spezzato da millenni, questo processo interiore di riacquisizione della verità più profonda, sfrondata dai meccanismi protettivi accumulatisi strato dopo strato in molti anni o decadi, possa richiedere un certo tempo. E’ proprio per facilitare questa profonda e spesso ardua trasformazione che la vita ci allontana da persone o situazioni che possano rallentare o rendere ancora più disagevole il processo.
La solitudine in questo caso è la dimostrazione di quanto l’universo ci supporti nel nostro procedere verso noi stessi, che è il procedere verso la ritrovata identità fra noi e l’intero cosmo; esiste una sorta di cospirazione “galattica” per la quale, una volta innestatosi il meccanismo del gnōthi seautón, gli eventi si combineranno in modo da favorirne il pieno svolgimento.
E’ in questo senso che si può parlare allora di lasciare andare; affidare alla vita, a quella parte di noi che meglio conosce il nostro “destino” e guarda le vicende umane da prospettive più elevate, la guida dell’umano veicolo. Proprio questa è l’essenza del risveglio, la sua traduzione pratica; essere il mezzo attraverso il quale la vita si manifesta, lasciare che il vento dell’esistenza ci attraversi e ci conduca dove l’essere, e non la mente, vuole andare, così come fanno gli uccelli del cielo e i gigli del campo nei versetti più cool di tutti i vangeli.
L’essere si rivela nel silenzio
L’ego-mente odia la solitudine e il silenzio, il caos permette alla mente di distrarsi da sé e da ciò che essa stessa ha nascosto ai nostri occhi per proteggerci dalla sofferenza. Il lavoro della mente-ego è in verità eccelso, in numerose situazioni ci ha permesso di sopravvivere ad eventi traumatici; nulla è più doloroso per l’umano della mancanza di amore, ed ogni forma con la quale questa si manifesta è un affronto alla sopravvivenza. Per questo la mente-ego va onorata e ringraziata del prezioso lavoro, anche quando nella solitudine priva di distrazioni incontriamo le percezioni dolorose dalle quali per lunghi anni siamo stati protetti. Entrare nel silenzio significa venire in contatto con ciò che il nostro sistema di sopravvivenza ci ha voluto evitare a tutti i costi di sentire; non stupiamoci se vogliamo fuggire, negare, eludere.
La calma, la solitudine, il silenzio sono i preziosi contenitori dell’essere che comincia a manifestarsi non appena veniamo in contatto con i primi strati di ‘desensibilizzazione’ e li attraversiamo. Queste ‘copertine’ di lana sono le storie che la nostra mente ha creato nel corso degli anni per coprire ricordi e sensazioni intollerabili; queste storie sono infinite, spesso assomigliano ad idee quali ‘io sono coraggioso, forte, indipendente’, ma anche ‘sono debole, timida e introversa’, oppure ‘il mondo è crudele e mi vuole male’, ecc, ecc. Tutti noi conosciamo queste storie e le abbiamo raccontate a noi stessi e ad altri nel corso della nostra esistenza: è normale! L’attenzione che portiamo a queste narrative agisce come l’acetone sulle unghie laccate, dissolve lo smalto e rivela ciò che davvero siamo, lo splendore dell’essere! E’ molto raro che gli umani si sottopongano volontariamente a tale viaggio nell’Ade; più spesso è un evento traumatico o, appunto, un momento di risveglio che libera le energie necessarie per affrontare un simile percorso.
La solitudine ci viene incontro creando un ambiente privo di distrazioni il quale ci consente di affrontare con determinazione e coraggio il viaggio di Ulisse e di uscirne vittoriosi, quindi vivi! Eh già, vivi! La mente è programmata per lanciare l’allarme rosso ogni volta che una situazione rischia di fare emergere ciò che lei stessa ha soppresso – naturalmente per il nostro bene – un segnale lampeggiante che urla ‘attenzione pericolo di morte’!!!. Fermarsi è morire! E moriremo molte volte nel nostro risveglio, imparando dall’esperienza che ciò che muore è un solo un meccanismo di difesa: la morte dell’ego o, più precisamente, la morte dell’identificazione con le idee, i sentimenti e le sensazioni dalla quale traevamo un senso di identità.
Nella solitudine impariamo che cosa è davvero l’amore
Nella solitudine impariamo a rimanere presenti nel silenzio e scopriamo, forse per la prima volta, che cosa significhi amarsi. Regalando a noi stessi attenzione, accoglienza, non giudizio, ascolto, scopriamo che ciò che cerchiamo è all’interno: la nostra profonda essenza. Il desiderio di distrazione si affievolisce fino a scomparire e la solitudine diventa l’habitat nel quale fiorisce l’unico vero nutrimento dell’essere: la connessione con la nostra profondità e di conseguenza con tutti gli elementi del mondo manifesto.
La vera libertà si trova nella nostra capacità di amare che non è altro che la conoscenza più profonda di ciò che siamo; non potremo davvero amare gli altri, o meglio, l’altro da sé, rimanendo estranei alla nostra più intima verità. In questa verità scopriamo l’assoluta innocenza dell’essere e quindi di ogni umano. E’ una scoperta che porta in sé il germe della compassione; l’innocenza ritrovata ci induce a sciogliere le difese mentali, a riscoprire la natura giocosa dell’esistenza e a ritrovare il desiderio di vivere in armonia con le forze naturali.
Tutto ciò che si allontana dal sapore, o vibrazione, dell’essere comincia ad allontanarsi da noi e viceversa, affinché la nostra intera esistenza si possa gradatamente allineare ai piani dell’essenza (vita, dio, universo, comevipare).